Una prova d’attrice per un monologo sorprendente e catturante, che ha l’improntitudine e la crudezza dell’infanzia. Rodrigo Garcìa è un autore che è divenuto un classico della nostra contemporaneità, perché i suoi testi consistono in una serie di ragionamenti scomodi, divertenti e disorientanti. In scena, Rebecca Rossetti, danzatrice e attrice molto apprezzata dalla critica in questo e in molti altri allestimenti firmati Progetto U.R.T.
Foto di © Stefano Roggero
DOVEVATE RIMANERE A CASA, COGLIONI
di Rodrigo Garcia
regia di Jurij Ferrini
con Rebecca Rossetti
assistenti alla regia Lia Tomatis, Federico Palumeri
organizzazione e promozione Chiara Attorre
produzione esecutiva Wilma Sciutto
responsabile tecnico Gian Andrea Francescutti
UNA PRODUZIONE PROGETTO U.R.T.
Rodrigo Garcia è un autore che è già divenuto un classico della nostra contemporaneità, perché i suoi testi consistono in una serie di ragionamenti scomodi, scorretti, molto divertenti e del tutto disorientanti. Ciò che mi affascina è proprio la struttura logica del suo discorso che può deridere i luoghi comuni e le idee precostituite di chi ascolta, fino a disgregarle. Il suo teatro è una vera ginnastica della mente per il pubblico, una attività sana e divertente. Lavorando infatti su un paio di testi e trattandoli come un materiale classico, ho trovato una straordinaria comicità potenziale che raramente viene sfruttata. In genere Rodrigo Garcia viene associato ad un teatro performativo e forse si tratta anche di una associazione appropriata perché da quel teatro lui proviene. Però ritengo che i suoi testi possano funzionare benissimo ormai anche come teatro classico, comico e di matrice pop. Il teatro di Garcia arriva a chiunque lo voglia davvero ascoltare. Per questo il lavoro che svolgo normalmente sulla “parola scritta per essere detta” può enormemente giovare a questo autore così vivace e fantasioso, senza sottrargli un grammo di irriverenza. Perché nel suo teatro l’irriverenza va al di là della forma: Garcia riempie di scomodità ogni contenuto, ogni periodo ed ogni aggettivo, negli sproloqui apparentemente sconclusionati che porta in scena.
Rebecca Rossetti è una danzatrice ed attrice che ha una particolarità fisica di rara qualità: quando è sulla scena è un essere umano. Questa affermazione può disorientare il lettore che non abbia dimestichezza con il palcoscenico; ma chi vi sale abitualmente sa bene che conquistare questa dimensione di rilassamento e disponibilità al gesto, al respiro, alla voce, al movimento e alla fissità sono qualità che di rado si trovano in un interprete. Essere degli esseri umani in scena, o più semplicemente essere umani in scena, è il gesto più semplice ed autentico che possa esistere; ma per riuscirvi e necessario concentrare moltissimi elementi in un corpo solo e in uno stesso istante: forza d’animo, capacità di ascoltare, disinteresse verso il reale, ed una enorme attenzione verso tutto ciò che è all’esterno, superamento di ogni tecnica visibile…tutti elementi che permettono di arrivare a dimenticare se stessi, in quello spazio-tempo di cui consiste l’atto teatrale. Questo è un motivo di per se più che sufficiente per incontrarla. Perché Rebecca non tradisce se stessa, non tradisce il silenzio, l’immobilità quando dice o danza un testo.
Andare a teatro significa cercare l’esperienza dell’essere umano, che è una trascendenza dell’uomo, della persona. Sono persuaso che questo sia il motore profondo che ti fa “mettere le scarpe” per uscire di casa e andare ad incontrare altre persone, sederti in una sala e attendere un evento teatrale. Un evento unico ed irripetibile, una forma d’arte che si crea e si distrugge ad ogni istante, che sospende il tempo e lo spazio e conduce in un altrove lontano dalla realtà.
L’incontro tra queste due umanità: Rebecca Rossetti e la scrittura di Rodrigo Garcia è una alchimia molto potente.
Dirigere questo lavoro significa per me avere una grande opportunità di guidare un flusso creativo immane e condurlo allo spettatore, dove esso prende forme molto diverse a seconda della fantasia di chi le ascolta e le vede. Quando ho assistito al suo studio al teatro Stalker a Torino, Rebecca ha continuato a smascherarmi. È stata una esperienza entusiasmante. Vorrei provare a farvela vivere.
Jurij Ferrini
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“Intanto il titolo, chiama in causa ciascuno di noi, un tu generico nel quale si può sperare, ci si può illudere di non essere inclusi, mentre è proprio a ciascuno di noi che Rodrigo García si rivolge, attraverso il corpo e la voce di Rebecca Rossetti. Luci bianche sul palco. Uno spazio tempo non definito un corpo e una voce in scena. Parrucca blu elettrico, canotta gialla, jeans, All Star stinte.Uno sguardo intenso, quasi allucinato, che trafigge il pubblico impietoso, un corpo agile e nervoso che vibra di pienezza, un grumo di tensione di cui si percepisce tutta la consapevolezza. […] Rebecca ci tiene incollati alle sue parole, al suo sguardo, fino alla fine, fino a quando nonci congederà Ogni gesto è misurato, ogni respiro, ci si sente investiti da una potenza scenica che esplode nelle tirate polemiche di un monologo surreale a tratti. Le parole di Rebecca colpiscono come sferzate, chicchi di grandine, pietre, eppure tutto questo sembra annegare nel mare dell’invettiva, si configura come un lampo nel buio della notte, di cui resta vaga traccia negli occhi, nel ricordo.
Caterina Serena Martucci – www.ilpickwick.it
“Tutto il cinismo, la carica provocatoria, il ritmo incessante e nevrotico, il registro pop-pulp della scrittura di Garcìa son ben incarnati dalla Rossetti, che – con braccia verso l’alto e passo leggero e misurato – sembra sempre sul punto di esplodere, esprimendo «uno stato mentale che merita attenzione», cambiando registro nel finale dove giustamente e coerentemente implode di fronte alla conclamata impossibilità, non solo sua, di venire a capo delle anomalie che fondano il nostro stare al mondo in questo mondo”.
Salvatore Margiotta – www.teatro.it
“Leggete monologo e sapete cosa aspettarvi. Un attore in scena. Molte parole. Forse una storia o due. Beh, l’esperienza che regala Rebecca Rossetti è diversa da un monologo come ve lo aspettate. Non nel senso che ci sia qualcun altro in scena, ovviamente. O qualcos’altro. Lei è già tutto quello che serve. E neppure nel senso che manchino le parole: il testo di Rodrigo Garcia è una bella catena di parole tenute insieme dalla fame di paradossi, di solipsismo, di acidità. Fa sorridere, a volte, e ogni tanto persino pensare. […] Lo spettacolo però non sta lì. Se fosse così sarebbe un monologo e basta. Ma non è quello che andate a vedere. Non ne varrebbe la pena, fosse solo per quello. Lo spettacolo è nello sguardo di […] Rebecca Rossetti, tirato a lucido dall’allestimento di Jurij Ferrini. Brillante. Traverso. Terribile. È tutto lì. E dovreste guardare quello mentre Rebecca declama, mentre cambia voce, mentre fuma. Ci vedreste una strega. Una bambina. Una condannata. Ci vedreste cose che in effetti, nella vita, non incontrerete spesso. Anime. Non una sola. Tante. Moltitudini. Forse persino tutte. Tutte le anime del mondo. Lì, in bella evidenza, stagliate sul niente di una scena vuota. Dovevate rimanere a casa, coglioni. Ma così non avreste riconosciuto, sul palco, la vostra, di anima, che sgambettava come un alunno al saggio di fine anno. E non avreste potuto applaudirla. Se lo meritava, la vostra anima, un applauso. E se lo merita anche Rebecca Rossetti.
Alessandro Mauri – www.teatroeatroteatro.it
“Poiché non è educato, e neppure moralmente accettabile, utilizzare l’epiteto “coglioni” per chi si è perso questo spettacolo, vediamo di ammorbidire il giudizio con questa formula: dovevate venire al Tertulliano ieri e oggi, sciocchini. […] Dovevate venire a vedere la regia di Jurij Ferrini […] quando un regista ama il copione che mette in scena se ne accorge chiunque, pure l’occhio inesperto. Dovevate venire ad ammirare la bellezza di Rebecca. E quando parlo di bellezza mi riferisco a quella di cui parlava Dostoevskij, quella che salverà il mondo. Dovevate venire, punto. Non muore nessuno, ma per il futuro il consiglio è di non lasciarvi sfuggire un monologo elettrizzante, che ricarica le batterie dell’anima”.
Francesco Mattana
“Rebecca Rossetti, attrice e danzatrice dalle straordinarie capacità comunicative, diretta dalla regia di Jurij Ferrini, che con il suo progetto U.R.T. ha avviato una riscoperta della drammaturgia, a partire da ciò che ha di più vero ed essenziale: il testo. Questo tipo di approccio registico fa della semplicità la condizione in cui risaltano quelli che sono i veri contenuti concettuali di un’opera, inevitabilmente legati all’attore da un rapporto molto stretto, di mutua responsabilità”.
Elena Tondo – www.teatrionline.com
“Dovevate rimanere a casa, coglioni, celebre partitura di Rodrigo Garcia che l’intensa Rebecca Rossetti, diretta da Jurij Ferrini, fa ormai sua come una seconda pelle: gli originali cinque monologhi diventano materiale per un’unica danza verbale con assoluto protagonista il testo, la parola in tutta la sua spiazzante forza […] In questa apparente terra di nessuno la Rossetti imperversa con la sua nevrotica fisicità, proiettando il cinismo e la carica provocatoria di una scrittura che costringe lo spettatore a fare i conti con le infinite contraddizioni dello stare al mondo: ininterrotta esplosione di rabbia ed energia che si autoannulla in un vibrante finale dominato dall’implosione, o forse resa, della protagonista in grado di riconoscere l’impossibilità di contrastare quanto ogni giorno la vita apparecchia sul proprio cammino”.
Roberto Canavesi – 13/05/2018 – www.teatroteatro.it
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