Misura per misura

di William Shakespeare

Misura per misura
di William Shakespeare


traduzione italiana di Cesare Garboli 

regia di Jurij Ferrini

Vincentio, il Duca / Jurij Ferrini
Angelo, il Vicario / Matteo Alì
Escalo, giudice / Lorenzo Bartoli
Claudio, un giovane / Raffaele Musella
Lucio, giovanotto stravagante / Angelo Tronca
il Bargello / Elia Tapognani
Pompeo, ruffiano /Jurij Ferrini
Frate Pietro / Francesco Gargiulo
Isabella, sorella di Claudio / Rebecca Rossetti
Mariana, promessa sposa di Angelo / Elena Aimone


scene Carlo de Marino
costumi Alessio Rosati
luci Lamberto Pirrone
suono Gian Andrea Francescutti
regista assistente Marco Lorenzi

organizzazione e promozione Chiara Attorre
produzione esecutiva Wilma Sciutto
responsabile tecnico Gian Andrea Francescutti – Servizi Teatrali (PN)


UNA PRODUZIONE PROGETTO U.R.T. IN COLLABORAZIONE CON FONDAZIONE TEATRO STABILE TORINO – TEATRO NAZIONALE

Misura per misura (1603) è una commedia nera nella quale si alternano in perfetto contrappunto due livelli: da una parte la storia del Duca di Vienna che si allontana dal potere in cerca di una verità che gli permetta di comprendere l’origine del peccato nella natura umana; il Duca si traveste da frate e sotto falso nome si nasconde nei bassifondi, lasciando al suo vicario, il severo Angelo, il compito di ripulire la città dalla corruzione e dal vizio; egli esegue: il giovane Claudio colpevole d’aver messo incinta la sua futura sposa prima del matrimonio, viene condannato a morte per fornicazione. La sorella di Claudio, Isabella, una novizia che sta per prendere i voti, si reca da Angelo per implorare la grazia. Nel frattempo il più saggio e maturo giudice Escalo si trova alle prese con il popolo dei bassifondi con tutta quella straordinaria umanità che vive alla giornata, nel degrado, si nutre dei più meschini sotterfugi e si arricchisce sfruttando tutto ciò che è proibito; Pompeo Chiappe, Mastro Schiuma, Madama Sfondata e il povero Gomito, una guardia assolutamente incapace di fermarli, costituiscono il livello grottesco e comico nel quale “giustizia non sarà mai fatta”.

Procedere oltre nello svelare l’intreccio della storia significa togliere mistero ad una sorta di poetico ed affascinante “thriller ante-litteram” … non lo farò e consiglio al pubblico di non leggere (o ri-leggere) il testo prima di venire a teatro; ma, al contrario, di lasciarsi incantare dalla storia agita sul palco da noi attori.

Giustizia e Misericordia, sono gli argini di questa storia così umana e di rara bellezza, di fascino oscuro, in pieno equilibrio fra dramma e commedia… sono davvero forse questi i confini… gli “steccati” nei quali si muove quest’opera memorabile, che il grande Cesare Garboli – straordinario traduttore e quindi affascinante “traditore” – definì come “una puledra selvaggia che ti attende ferma in un prato… e quando allunghi una mano per avvicinarla, agita la criniera e scappa lungo un sentiero che conosce solo lei.

Giustizia e Misericordia, dunque, entrambe espressioni fra le più alte della natura umana, concetti spesso antitetici che – con rigore cartesiano– potremmo inserire lungo i famosi assi del celebre filosofo e matematico francese: potremmo porre la Giustizia nelle ascisse e la Misericordia nelle ordinate; potremmo sostenere che quanto più alto è il bisogno di Giustizia tanto più alto deve essere il bisogno di Misericordia, di Pìetas, ossia di amore, compassione, comprensione e rispetto della vita altrui; eppure a questa geometria (giocando anche un po’ sul titolo), a questa semplice equazione, a questa precisa formula, sfuggirebbe costantemente tutto ciò che è irrazionalità, pulsione, passione, debolezza, carne ed istinto di ogni uomo o donna che abbia mai respirato su questa terra.
Occorre – certo – regolare la convivenza sociale tra gli individui e le loro più basse pulsioni. Ma si interviene più facilmente accodandosi come moralizzatori nel proibire con apposite norme gli istinti, anziché comprendere la complessità della vita umana.

La via della Pìetas è molto più impervia, e prendendo la scorciatoia di una algida e ferrea applicazione delle norme si finisce per impoverire il concetto stesso di Giustizia. Lo strumento per orientarsi nel “misurare” il più giusto equilibrio fra queste due sacrosante istanze viene definito da una Autorità superiore agli altri uomini. Può essere laica o religiosa, eletta dal popolo direttamente o indirettamente, ereditata per diritto di nascita…direi che poco importa; perché quando Giustizia e Misericordia si impoveriscono del loro stesso alto significato, lo sguardo si restringe su ciò che ci circonda, si confondono i contorni …e i termini: Autorità e potere possono sembrare addirittura sinonimi.; mentre il secondo termine è la volgare declinazione pratica di un concetto astratto molto più alto.
Uno dei meravigliosi aforismi di Oscar Wilde recita: “Tutto al mondo ha a che fare con il sesso. Tranne il sesso. Il sesso ha a che fare con il potere”. Quanto mai vero. Il bisogno di soggiogare è connesso agli istinti più profondi dell’uomo. E’ il potere stesso che finisce per corrompere e corrompersi, non il sesso.

Essere moralizzatori e proibire è la via facile che gli uomini hanno inventato. E più si proibisce più cresce il bisogno di potere. In un autentico circolo vizioso, che ormai è arrivato ad essere emblema stesso della peggiore forma di arroganza del mondo contemporaneo; arroganza che sta minando le fondamenta di una pacifica convivenza fra gli esseri umani. E parlo di noi. Oggi. Anche qui nel nostro paese. Bersagliati dalle cronache, dai racconti individuali o dalla diretta esperienza di ogni quotidiano, odioso, abuso di potere.
Ecco allora che ampliando di poco lo sguardo sul “peccato della carne” – su cui si impernia la vicenda narrata da Shakespeare – e rileggendo questa storia in chiave appena allegorica, possiamo intendere molto bene noi “moderni” – immersi nella modernità e compiaciuti d’esserlo – che la ben più grave corruzione che ci affligge oggi, non è materia che si regolerà mai con nuove e più severe norme. Non con altro proibizionismo. Non di certo continuando a mantenere in piedi uno Stato che si fondi sul potere e non sull’Autorità. Solo una responsabilità condivisa, una visione allargata, lucida, pacata e fortemente ispirata, ci permetterà di uscire dal mare di cinismo nel quale stiamo affogando. Solo quando saremo pronti a donare del tutto noi stessi in nome di questa “rivoluzione umana” potremo aspirare ad un mondo che poggi su premesse del tutto differenti.

Jurij Ferrini